Nanjing – 1a parte.

Approfitto del terzo giorno di sole consecutivo e del suo impatto positivo sull’umore per un post non troppo allegro…

Di passaggio a Shanghai per il milionesimo matrimonio di quest’anno, ne ho approfittato per una breve visita a Nanjing (南京= Capitale del sud – In italiano Nanchino).

Prima tappa della giornata, il memoriale eretto per ricordare il massacro di Nanchino, principale ragione per cui avevo scelto proprio questa destinazione. Non è certo una di quelle visite che ti migliorano l’umore, ma ci tenevo a vederlo e a vedere l’interpretazione cinese di un luogo destinato alla memoria. In particolare alla memoria di qualcosa di così rilevante. Si tratta infatti di un evento molto presente nella coscienza collettiva cinese (del resto alcuni superstiti sono ancora in vita). Uno dei momenti più atroci di una guerra che contribuisce fortemente alla poca simpatia che esiste tra cinesi e giapponesi e che è ancora, in alcune occasioni, motivo di tensione diplomatica.
Benché sia poco conosciuto dalle nostre parti, si parla di una tragedia di portata gigantesca: lo sterminio di oltre 300.000 persone, in massima parte civili, da parte dell’esercito giapponese, avvenuto con modalità e brutalità non comuni.

Inutile che stia a raccontare i cosa e i come. Altrettanto inutile che io provi a commentare un evento del genere, troppo fuori dalla mia portata. Racconto quindi solo le impressioni sul museo…
Il museo è stato eretto nei pressi di alcune fossi comuni, ritrovate a diversi anni di distanza dal massacro.
L’area è pulita e silenziosa, l’architettura è sobria e senza pacchianate (che è sempre lecito aspettarsi dai cinesi), molto rispettosa del contesto.
Il primo blocco è il museo vero e proprio. Il museo contiene alcuni reperti e ricostruzioni, ma soprattutto un lungo percorso che racconta il prima, il durante e il dopo di questa tragedia, grazie a lunghe e dettagliate (un po’ noiose e molto molto ripetitive) didascalie, ma soprattutto grazie ad una enorme documentazione fotografica. Le foto mostrano luoghi e persone, soldati, civili, donne bambini, macerie e corpi… In alcuni casi riprendono il momento esatto dell’uccisione (alcune di queste sono infatti “foto ricordo” fatte dagli stessi militari giapponesi…e non credo che in questo caso valga la scusa che i giapponesi fotografano tutto…). Il percorso è lineare e senza vie d’uscita e termina con un immenso archivio (una parete alta una ventina di metri) di faldoni, consultabili, che contengono informazioni sulle vittime.
La visita prosegue poi con una passeggiata all’esterno, la visita alle fosse comuni dove vedere i resti, con alcune note sulle ferite riscontrate sui corpi (che testimoniano decapitazioni, pugnalate, fucilate e molte ferite non mortali, inferte solo per provocare dolore). Poi una specie di sala di preghiera/riflessione (con musica di sottofondo, questa forse non elegantissima) e infine un lungo viale e un obelisco che inneggia alla pace. A contorno, una serie di statue a tema, piuttosto belle e suggestive.
Complessivamente, mi pare, un luogo adeguato allo scopo, una silenziosa e rispettosa passeggiata, un invito alla riflessione con pure una botta di speranza finale per un futuro di pace.

Non ho scattato nessuna foto, non mi sembrava il caso, ma su internet se ne trovano alcune del posto e del massacro (anche sulla relativa pagina di wikipedia, ma solo per stomaci forti).

Una cosa mi ha colpito particolarmente. Si tratta, almeno che io sappia, del primo orrore di questa portata che abbia così ampia copertura fotografica. Foto da cui traboccano la sofferenza delle vittime, insieme alla barbarie e al disgustoso compiaciento dei carnefici e che nessuna descrizione, neanche la più dettagliata, potrebbe raccontare con altrettanta efficacia.
Delle tragedie del passato più remoto abbiamo solo le ricostruzioni storiche (in alcuni casi romanzate). Delle tragedie del secolo scorso iniziamo ad avere le foto e in 80 anni circa siamo passati dalle foto sgranate in bianco e nero, al colore, alla televisione, fino ai video girati col telefonino mentre il fatto succede.
Tanto avanzamento tecnologico per vedere immagini (si pensi ai video pubblicati da Wikileaks) registrate da un telefonino grande un palmo, magari tridimensionali, in alta definizione e con audio stereofonico, da cui traboccano la stessa sofferenza delle vittime, insieme alla stessa barbarie e allo stesso compiaciento dei carnefici…
Così tanta capacità di innovazione tecnologica non ha fatto fare il minimo passo avanti alla nostra umanità…mette proprio tristezza.

4 commenti su “Nanjing – 1a parte.”

  1. Bella pesa come passeggiata….la curiosità sarebbe tanta, ma lo stomaco p debole per cui decido di non guardare le foto e affidarmi solo al tuo racconto, molto bello come sempre, quando ti impegni. 🙂 a prestoooo!

  2. Diciamo che le foto non sono peggio di quanto siamo abituati a vedere in tv…salvo l’essere reali 🙁

  3. eh già…però la cosa triste è che a forza di vedere immagini cosi in tv, abbiamo perso il loro vero senso, non fanno quasi neanche impressione, ed è brutto dirlo, perchè non si riesce a rendersi conto che sono cose vere….mah, bel resoconto igodo, ma già ero triste…..

  4. Giusto per restare in tema, segnalo un altro sito in Cina dedicato alle agghiaccianti opere di guerra nipponiche… l’Unita’ 731 nei pressi di Harbin (http://en.wikipedia.org/wiki/Unit_731).
    Rispetto al Memoriale che ho visitato con Igor e’ meno celebrativo, non e’ meta frequente dei visitatori stranieri, che probabilmente non bazzicano in quel di Harbin tanto quanto in quel di Nanchino.
    Cio’ che contribuisce a far gelare il sangue e’ che il museo si trova all’interno degli edifici dove i prigionieri erano torturati, pertanto per visitare le sale ho percorso i medesimi corridoi che percorrevano loro, sono entrata nelle stesse stanze.
    Moltissimi i reperti raccolti, le fotografie, i documenti di studio in cui scientificamente vengono descritti esperimenti e risultati.
    All’uscita lo stomaco e’ chiuso e nella mente un pensiero resta: il Giappone ancora oggi si rifiuta di riconoscere quanto compiuto, di chiedere ufficialmente scusa, persino di rivelare dove sono state sotterrate le armi chimiche e biologiche prima della ritirata…
    Ancora oggi in giro per la Cina puo’ capitare che, scavando per costruire nuovi edifici, gli operai si imbattano fortuitamente in barili seppelliti durante la guerra, con le conseguenze in termini di contaminazione che si possono immaginare.
    Non voglio giustificare l’odio che i cinesi a tutt’oggi portano per i loro vicini, ma posso ben comprenderne l’origine.
    Grazie Igor per avermi accompagnato a visitare Nanchino, il Memoriale ha aggiunto un altro tassello a una pagina di storia che, confesso, nei miei anni di scuola non e’ mai stata trattata.

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